STORIA DI PESCARA: cap. 10: GABRIELE MANTHONÉ


Dopo aver ripercorso nei primi 6 capitoli, come in un romanzo, la Storia di Pescara dalle Origini sin quasi ai giorni odierni andiamo a tratteggiare alcune delle biografie di importanti personaggi  che a Pescara sono nati o che hanno legato in maniera indissolubile la storia della propria esistenza con quella della nostra Città.



Gabriele Manthonè nacque a Pescara il 23 ottobre 1764 da Cesare e da Maria Teresa Fernández d'Espinosa.
Il padre, savoiardo, aveva cambiato il cognome originario, Delhorme, in Manthoné, nome di uno dei feudi della famiglia, dopo aver raggiunto Napoli per sottrarsi alle conseguenze di un duello in cui aveva ucciso il suo avversario, appartenente a una famiglia dell'alta aristocrazia locale. 
Nel Regno di Napoli aveva intrapreso la carriera delle armi e, alla nascita del figlio, era aiutante maggiore del Presidio di Pescara di cui la moglie (e madre quindi di Gabriele) era figlia del comandante della Fortezza.
Il 22 giugno 1776 Gabriele Manthonè fu ammesso come cadetto nel reggimento "Borgogna", insieme con il fratello Giovanni Battista, passando l'anno successivo nel battaglione Real Ferdinando, un'unità destinata alla preparazione degli ufficiali, e venendo infine trasferito all'Accademia militare, dalla quale uscì nel 1784 come Alfiere.
Promosso secondo tenente di artiglieria e, tre anni dopo, il 22 luglio 1789, capitan tenente, fu addetto alla Real Fabbrica d'armi di Torre Annunziata, svolgendo nel frattempo anche altri compiti per conto della corte, come il restauro, a Napoli, della chiesa di S. Maria della Fede. 
Questi compiti lo trattennero nella capitale (ci riferiamo a Napoli) anche dopo che, promosso capitano comandante nel 2° reggimento artiglieria "Regina", il 19 luglio 1798, avrebbe dovuto raggiungere la Sicilia per assumervi il comando della sua compagnia. 
Nel frattempo aveva sposato Margherita Castagna, vedova del suo colonnello, e da quella unione nacque l'unico figlio, Cesare.
La lunga permanenza a Napoli e negli immediati dintorni, durante la quale proseguì nei suoi studi e praticò con successo la scherma, portò Gabriele Manthonè a contatto con gli ambienti politicamente più avanzati della capitale, sia per l'appartenenza al real corpo dell'artiglieria che per la sua frequentazione del salotto di Caterina de' Medici Cavaniglia marchesa di San Marco, sorella di Luigi de' Medici, una delle figure chiave della vita politica napoletana di quel periodo, anche se non risulta una sua presenza nei circoli "giacobini" filofrancesi che cominciavano allora a sorgere.
Allo scoppio della guerra franco-napoletana del 1798-99 venne nominato aiutante di campo del comandante dell'artiglieria, che raggiunse a Frosinone, per essere poi inviato a Roma a effettuare una ricognizione delle fortificazioni di Castel Sant'Angelo, nel quale si era asserragliata parte della guarnigione francese. Sopravvenute la sconfitta e la ritirata, raggiunta la piazza di Capua il M. fu inviato a Napoli per provvedere ad alcuni generi di cui necessitava la piazza stessa, dove però non fece ritorno, restando invece nella capitale fino alla presa della città da parte dei Francesi, il 23 gennaio 1799, dopo tre giorni di ostinata difesa dei "lazzari".
Il mancato ritorno a Capua e l'immediata ed entusiastica adesione alla Repubblica Napoletana rendono estremamente attendibile la notizia di una sua precedente attività in favore dei Francesi, come l'intercettazione e la distruzione dell'ordine di ritirata diretto dal comandante in capo delle truppe napoletane, il generale Karl Mack, al generale Roger de Damas, che aveva obbligato quest'ultimo, una volta giunto a Roma, a ripiegare verso Orbetello, anziché raggiungere il resto dell'esercito in ritirata verso Napoli. 
Inoltre Gabriele Manthonè, da giovane, aveva prestato servizio come cadetto insieme con Carlo Lauberg, primo presidente del governo provvisorio della Repubblica, e anche questa circostanza potrebbe aver contribuito a porlo, benché fino ad allora non si fosse esposto politicamente frequentando gli ambienti filofrancesi, in una posizione di rilievo nel governo che si stava formando a Napoli.
Membro del Comitato militare dal 5 febbraio, Gabriele Manthonè fece parte della delegazione incaricata di chiedere l'annullamento - o la diminuzione - della contribuzione di guerra imposta dal comandante francese, il generale J. Championnet; nell'occasione si rivolse a quest'ultimo con fierezza, ricordandogli il determinante contributo offerto dai patrioti alle sue truppe nel momento della loro entrata a Napoli.
Le sorti della guerra avevano intanto reso necessaria la partenza delle truppe francesi per l'Italia settentrionale, proprio mentre si faceva sempre più minacciosa l'avanzata delle masse della S. Fede del cardinale Fabrizio Ruffo verso la capitale. La difesa della Repubblica venne così lasciata quasi esclusivamente nelle mani dei patrioti napoletani e il 18 aprile fu nominato ministro della Guerra, Marina e Affari esteri, dopo aver rifiutato di far parte della delegazione inviata a Parigi, ciò che gli avrebbe potuto salvare la vita.
Come ministro della Guerra si profuse nel disperato tentativo di salvare la Repubblica, ma la sua opera, appassionata e convulsa, non poteva, date le circostanze, produrre risultati positivi. 
Gabriele Manthonè venne poi anche criticato per non aver ben utilizzato le truppe delle Puglie, facendole ripiegare su Pescara, e per aver sempre sottovalutato le masse e sopravvalutato, invece, i patrioti, perché questi erano, secondo lui, estremamente più motivati e quindi di gran lunga migliori combattenti del nemico.
Bisogna però anche considerare che il suo temerario progetto di non attendere le masse intorno a Napoli e di portare la guerra nelle province più favorevoli alla Repubblica, inviandovi le legioni che egli stesso cercò di organizzare nelle prima metà di maggio (riuscendovi, parzialmente, soltanto per due delle quattro previste) aveva un obiettivo strategico ben preciso. Con una forza ridotta ma con quadri esuberanti, reclutati tra i patrioti e gli ex ufficiali borbonici, queste legioni avrebbero dovuto portarsi nelle rispettive zone di reclutamento e di impiego e qui operare "con i principii rivoluzionari in bocca, con la Repubblica nel cuore" per "fraternizzare con tutte le classi", così come aveva prescritto nelle sue istruzioni. Era un compito, a un tempo militare e politico, di ardua esecuzione, ma che aveva il merito di cercare di minare le basi stesse del successo della politica del cardinale Ruffo.
Le grandissime difficoltà obiettive e l'insufficiente slancio dei comandanti delle legioni, in particolare di Pasquale Matera, non permisero alle prime colonne di spingersi oltre Benevento e alla fine di maggio l'armata della S. Fede si apprestava a circondare Napoli. Negli ultimi giorni Gabriele Manthonè - nominato generale in capo delle truppe napoletane - condusse personalmente le sue truppe in battaglia. Il 7 giugno riprese Barra, ripiantandovi l'albero della libertà, facendo fucilare "i capi insorgenti" e perdonando "a nome del Governo i sedotti". 
L'assedio si prolungò fino al 21, quando venne stipulata la nota capitolazione poi disattesa dal contrammiraglio britannico H. Nelson su ordine di re Ferdinando di Borbone - che prevedeva la possibilità, per i capitolati, di imbarcarsi per la Francia. Così Gabriele Manthonè, che era salito con la sua famiglia a bordo di una polacca, il 28 giugno venne fatto sbarcare e condotto sull'ammiraglia di Nelson, da dove il 3 agosto fu tradotto nelle fosse di Castelnuovo. 
Sottoposto al giudizio della Giunta dei generali, fu condannato a morte dalla Giunta di Stato, essendo stato considerato uno degli ottantaquattro "rei di Stato principalissimi". L'impiccagione avvenne a Napoli il 26 sett. 1799. Il corpo fu sepolto nella chiesa del Carmine.

Fonti e Bibl.: Atti, leggi, proclami ed altre carte della Repubblica Napoletana, a cura di M. Battaglini, Chiaravalle Centrale 1983,ad ind.; G. Segarini - M.P. Critelli, Le patriotisme et le courage. La Repubblica Napoletana del 1799 nei manoscritti del generale di brigata Antoine Girardon, Napoli 2000, ad ind.; M. d'Ayala, Le vite de' più celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto fino ai dì nostri, Napoli 1843, pp. 297-307; F. Di Giovanni, G. M. e la Repubblica Partenopea, Chieti 1899; F. Masci, G. M., Casalbordino 1900; C. Morgigni de Manthoné, G. M., Napoli 1901; R. Aurini, Diz. biogr. della gente d'Abruzzo, IV, Teramo1962, pp. 93-97; F. Masciangioli, Carafa e Manthoné: due patrioti tra Napoli e Pescara, Pescara 1999; V. Ilari - P. Crociani - C. Paoletti, Storia militare dell'Italia giacobina (1796-1801), Roma 2001, pp. 785, 897, 904, 914, 1064-1067, 1071, 1074-1080, 1102, 1108 s.; Enc. Italiana, XXII, p. 164.
P. Crociani

Gli altri capitoli della Storia di Pescara a questo link:
http://oggiviraccontodi.blogspot.it/search/label/StoriaDiPescara

TI PIACE LA STORIA?
Segui allora TESSERE della STORIA, il breve post pubblicato alle 06,30 di ogni mattina.
Trovi qui tutte le TESSERE sin qui pubblicate:
http://oggiviraccontodi.blogspot.it/search/label/Tessere%20della%20Storia




Commenti

Post popolari in questo blog

SOLUZIONE ROMPICAPO N.17 L'albero con due rami e quanti uccellini?

Soluzione ROMPICAPO N.223 "L'erba da tagliare"

LE FASCE! Comprendiamo la bolletta dell'acqua! ...TERZO APPUNTAMENTO!